I. Pornocuore


Un martedì mattina di un paio di settimane fa è passato lo spazzacamino a controllare le emissioni di monossido di carbonio della nostra caldaia. Quando ha suonato eravamo ancora a letto.

Io e Lupo avevamo concordato la sera prima che questa volta l’avrei accolto e me ne sarei occupato io, visto che Lupo si è sempre sobbarcato la cosa da solo negli ultimi quattro anni: io ero infatti sempre al lavoro quando passava lo spazzacamino. E invece quando, verso le otto e trenta, ha suonato alla nostra porta io ci ho messo un sacco di tempo a trovare le mutande, la maglietta e soprattutto i porci pantaloni, quindi alla fine gli ha aperto Lupo. Li ho sentiti salutarsi e scambiarsi due parole. Non appena sono riuscito a rendermi presentabile sono uscito anch’io dalla mia stanza e sono andato in cucina. Lo spazzacamino aveva già infilato il misuratore nel forellino della canna che dalla caldaia sale fino al soffitto. L’ho salutato, lui mi ha guardato e ha ricambiato. Poi è tornato alle sue misurazioni. Mentre lavorava lo guardavo: i pantaloni di velluto nero, una giacca altrettanto nera, la stoffa non la ricordo, non ero del tutto sveglio. Un berretto nero che lasciava scoperta la nuca: portava i capelli rasati con una cresta di capelli castani ben pettinata. Una carnagione nivea. Ci ha spiegato che il livello di emissioni era nella norma e che potevamo stare tranquilli. Ha riposto il misuratore nella sua valigetta e ha compilato il protocollo, di cui ci ha lasciato una copia. Ci fa: “Qui avete una bella collezione di protocolli degli anni passati”. Si riferiva ai fogli gialli che ci lasciano gli spazzacamini dopo ogni controllo e che noi conserviamo piegati in tre dentro lo sportello della caldaia, e che durante le sue misurazioni lo spazzacamino crestato aveva appoggiato sul ripiano del frigorifero, che io avevo preventivamente liberato la notte prima di tutte le cianfrusaglie che ci teniamo, di ritorno dal mio appuntamento cultural-galante con B., assieme ai fornelli, da cui avevo rimosso pentole e padelle, perché sapevo che quelle due superfici la mattina dopo sarebbero servite libere allo spazzacamino. Phew!

Prima di andarsene ha fatto una battuta sulla nostra collezione di protocolli che mi ha fatto sorridere e sbocciare il cuore, ma che ora purtroppo non ricordo: ero proprio assonnato. Ci ha dato appuntamento all’anno prossimo. “Buona giornata”. Chiusa la porta alle sue spalle, io e Lupo ci siamo detti due cose sul suo conto, poi Lupo mi ha chiesto se avevo intenzione di tornare a letto. Ho risposto di no, ma ho cambiato subito idea: “Anzi sì”, e dopo aver fatto un salto in bagno sono tornato a letto.


II. Smash homophobia!


Bevo un tè al Simit dahi di Adalbertstraße aspettando che arrivi B. per il nostro secondo appuntamento cultural-galante. Da qui vedo la fermata dell’autobus sotto la quale tra una decina di minuti dovrebbe comparire.

Sono seduto allo stesso tavolo di una signora turca senza velo, che non ha dimostrato grande entusiasmo quando le ho chiesto se il posto davanti a lei fosse libero. È un locale moderno dal flair tradizional-metropolitano che vende prodotti tipici turchi (principalmente pane e dolci al sesamo) frequentato quasi esclusivamente da turchi. In questo momento sono l’unico non ottomano. Anzi no, un papà tedesco e le sue due bambine hanno appena comperato un sesamring e ora si sono seduti a consumarlo sugli scalini tra l’entrata e il marciapiede. Mi chiedo cosa succederebbe se io e B. tra un po’ ci salutassimo con un bacio sulle labbra.

La settimana scorsa, proprio alla fermata dell’autobus che sto tenendo d’occhio, ci accomiatammo dopo il nostro primo appuntamento cultural-galante e lui mi chiese cosa sarebbe successo se ci fossimo baciati. Io, preso un po’ alla sprovvista, cominciai a raccontargli di questa zona e della sua commistione unica di froci e lesbiche, turchi, curdi, punk e sinistri vari. Non sapendo bene che fare mi misi a raccontargli, compulsivamente, dell’aggressione avvenuta dopo il party di chiusura del Drag Festival.

“È strano, perché è uno dei quartieri più aperti e tolleranti, un posto che ho sempre considerato tranquillo finché non ho cominciato a sentir parlare di aggressioni: fuori dal Roses lo scorso ultimo dell’anno, alla Gayhane dell’SO36 e poi, appunto, qualche settimana fa un gruppo di lesbiche, tra cui dei drag king israeliani, che uscivano la domenica mattina presto da questo party del Drag Festival, arrivate a Heinrichplatz sono state accerchiate da tre auto da cui sono scesi degli uomini che le hanno insultate e picchiate. Gira la voce che su una delle auto ci fosse un adesivo dei lupi grigi, questi stronzi ultranazionalisti turchi. Il giorno dopo è stata indetta una manifestazione di protesta a cui ho partecipato con Lupo e due amiche ed è stato bellissimo perché io mi aspettavo un paio di centinaia di partecipanti e invece le organizzatrici alla fine hanno detto che eravamo in 3.500! Ti rendi conto?”. La Siegessäule parla di 3.000 persone.

L’associazione dei turchi berlinesi e brandeburghesi aveva subito condannato l’attacco e aveva chiesto di non considerare l’omofobia un problema legato esclusivamente agli immigrati. Nella mail di mobilitazione anche le organizzatrici si erano volute energicamente distanziare da ogni tentativo di colorare la manifestazione di toni razzisti. Gli aggressori potevano anche essere in parte o tutti turchi, ma l’obiettivo di questo corteo era di scendere in strada contro omo e transfobia, non contro un’altra minoranza. Il motto è stato: Smash homophobia! Smash transphobia! Smash racism!


III. Non si scappa…


Dopo la nostra ultima notte assieme prima della sua, ahimè, partenza, ancora abbastanza sconvolto, mi ritrovo a dover correre all’appuntamento fissato più di un mese fa da un nuovo dermatologo. Uno bravo di Mitte che mi ha consigliato il mio medico. Arrivo nel suo studio, molto chic, con due foto di (forse) Rineke Dijkstra alle pareti (originali?), e vengo accolto da uno stormo di graziosissime electro-finocchie barbute e svolazzanti à la Möbel Olfe che vanno e vengono dalla sala d’attesa.

L’infermiera alla reception mi guarda storto quando, allungandole la chip card dell’assicurazione medica, urto sgraziatamente la webcam appoggiata sul bancone puntata su di me. “Oh, mi scusi!”Una webcam? Che ci fa lì? Dopo avermi chiesto se il mio indirizzo è sempre quello depositato presso la mia assicurazione, non mi prega, come fanno di solito al primo appuntamento, di fornirle un mio recapito telefonico bensì si informa se per caso ho qualcosa in contrario se ora mi fa una foto per il loro schedario. Le dico di no. Mi ordina di fare due passi indietro, mi metto in posa, chiede alla sua collega di togliersi da dietro di me e scatta.

In sala d’attesa trovo un’archi-checca che usa lo stesso profumo di mio zio ingegnere e mi fa girare la testa – Sigmund Freud, analyse this! Analyse this. Analyse this, this, this… – e due studentelli froci di biologia e scienze sociali intenti a leggere. E due ragazze mechate che digitano sms sul cellulare e sfogliano riviste. Prendo una rivista anch’io e leggo di baby gang londinesi.


Ale