Ieri sera ho voluto fare un sopralluogo con Lupo nella kneipe dove ho una mezza intenzione di festeggiare il mio compleanno.
Si tratta di una delle poche osterie tradizionali ancora attive nel nostro isolato. Quattro delle sei presenti fino a qualche anno fa in un raggio di 1 km da casa nostra hanno chiuso i battenti. Una di queste è stata riconvertita in un disco bar demodé frequentato in gran parte da immigrati dell’Europa dell’Est, le altre sono rimaste sfitte. Queste bettole storiche vengono soppiantate, nel nostro isolato come in molte altre zone del quartiere, da bar per turchi o arabi e da ritrovi per studenti e giovani professionisti dal gusto più contemporaneo: café da colazione e merenda, shisha bar o cocktail bar, che magari saltuariamente ospitano pure un DJ set, un reading, una mostra fotografica.
Gli avventori delle kneipe berlinesi sono tedeschi dal reddito medio-basso: proletari e piccolo borghesi, disoccupati, pensionati. Un 5-20% di donne, uno 0,1-5% di immigrati, a seconda della kneipe. La selezione di birre è spesso limitata a una o due marche alla spina, due o tre in bottiglia. Alcune kneipe servono piatti freddi (pane nero con strutto e cetriolini, polpette di carne, insalata di patate bollite), altre anche piatti caldi (zuppe, arrosti, würstel e contorni).
Questa dove vorrei brindare ai miei 33 anni è la kneipe del bulldog: un bulldog in carne e ossa che gironzola pacioso tra il locale e il marciapiede di fronte e svariati bulldog di porcellana esposti sul davanzale di una finestra. È anche la kneipe che compariva per qualche secondo in un documentario sulla Berlino Ovest degli anni ’80 visto con Anna un paio di anni fa.
Una settimana fa è comparsa alla stessa finestra che ospita i cani di porcellana un’enorme bandiera arcobaleno (non PACE, ma LGBT). Fico, mi sono detto. Ci ho pensato su un paio di giorni e poi ho appunto deciso di testarla con Lupo.
Ieri sera la bandiera era sparita (affanno), sostituita da un piccolo adesivo arcobaleno appiccicato sotto la maniglia della porta d’ingresso (sollievo). Entriamo e veniamo cordialmente salutati dal nostro vicino di casa caduto dalle scale, seduto al bancone assieme a un amico. Con l’oste fanno tre persone in tutto il locale. Del bulldog non c’è traccia. Prendiamo anche noi posto al bancone e ordiniamo l’unica birra alla spina disponibile: Engelhardt, la pilsner di Charlottenburg; una rarità per chi, come noi, non è un assiduo frequentatore di kneipe.
Bevendo io e Lupo discutiamo del futuro di questi locali, osservando che quattro clienti e due stanzoni vuoti e bui non sono un buon segno. Ci chiediamo anche come interpretare la presenza dell’arcobaleno alla porta. L’oste indossa un jersey fucsia… mah. Mi viene in mente Kartch, che tempo fa ci riferiva della sua visita in un locale con bandierina arcobaleno della Karl-Marx-Straße: l’ostessa gli aveva candidamente confessato di usare quel simbolo per tenere lontani gli avventori più rozzi e casinisti.
Sentiamo uno schianto venire da fuori. Vetri rotti. Un altro. Bottiglie lanciate sul marciapiede, dall’alto. Un altro schianto. Un altro, un altro, un altro, un altro… Una decina in tutto. L’oste dichiara: “È il pazzo del piano di sopra”, e chiama la polizia. Non è la prima volta che dà di matto, ci racconta. Squilla il telefono: una vicina gli chiede se ha sentito anche lui il casino. Sì, l’ha sentito e ha già avvisato la polizia. Riattacca e ci racconta che il colpevole è famoso nella zona per le sue stravaganze. Lascia spesso dei sacchi di immondizia lì di fronte al locale e ci scrive sopra il suo nome. “Ma finora non aveva mai fatto niente di pericoloso…”. Squilla il telefono. “Sì, ho già chiamato la polizia. Eh, chi vuoi che sia? Lui! Il solito. Vedremo. Sì, ciao”. Il nostro vicino e il suo amico ci raccontano che si tratta di un ex ginecologo a cui hanno revocato la licenza un paio d’anni fa. Ogni tanto scende a bersi una birra, di solito in compagnia di una delle sue “puttane”. “L’ultima volta… vero Gerhard? L’ultima volta era una bulgara, minorenne… sì, Gerhard, quella non aveva diciott’anni… beh, comunque, Gerhard qui le ha detto qualcosa e lui, il matto, si è alzato e gli ha detto che non si permetta mai più di parlare alla sua donna, vero?”. Squilla il telefono: è la polizia, dice che non trovano il locale. L’oste ripete l’indirizzo – Weserstraße all’angolo con la Finowstraße – e riattacca. “Ma come non trovano il locale?”. “Eh, dice che non lo trovano.” In realtà a me era sembrato che l’oste avesse dato un indirizzo sbagliato (Weser/Fulda), ma pensavo di aver sentito male. Comunque, non dico niente. Dalla strada si sente lo scricchiolio dei vetri rotti calpestati dai passanti. Un ragazzino turco dalla finestra butta un occhio nel locale: ci guarda come fossimo degli alieni. L’oste fa il giro del bancone e va ad aprire la porta. Osserviamo. Davanti al locale una dozzina di bottiglie rotte: vino e birra, qualche liquore. Vetri verdi, marroni, trasparenti. E un paio di grucce di metallo. Squilla il telefono. L’oste torna dentro e corre al telefono. Il nostro vicino se la ride. È di nuovo la polizia: chiedono se il locale si trova a Friedrichshain o a Neukölln. “A Neukölln!”. Sì, perché, ci spiega l’oste dopo aver riattaccato, anche a Friedrichshain esiste una Weserstraße che incrocia una Finowstraße. “Incredibile”, dice l’amico del vicino “prima della wende una cosa del genere non poteva succedere. Al tempo c’era solo una Weserstraße”. “Ma come? Se ce n’è una anche a Lichterfelde!”. “Sì, appunto, a ovest. Ma l’incrocio con la Finow c’è solo a Neukölln… sì, insomma, c’era… adesso ce n’è uno anche a Friedrichshain, sembra”. “Comunque io gli avevo detto subito che siamo a Neukölln. Forte e chiaro. Stammtisch Neukölln, ho detto”.
Per farla breve, la polizia alla fine arriva e dichiara di non poter far niente. I poliziotti aiutano l’oste a scopar via i cocci. La prossima volta che succede, andrà su un agente a parlargli. L’amico del nostro vicino è indignato. “Ma come? Non fanno niente? E se passava qualcuno in quel momento e si beccava una bottiglia sulla zucca?”. In tedesco in realtà si dice birne, pera. “Sì, ma così non è stato. Non si è fatto male nessuno”, sentenzia il nostro vicino. “Ma c’era pure un testimone. La Elke l’ha visto! È stata lei a chiamarci per prima: ha visto tutto dal balcone. C’è un testimone!”. “Elke non è un testimone”, sentenzia il nostro vicino. Non sappiamo esattamente cosa voglia dire. Evidentemente secondo lui questa Elke non è un testimone affidabile. Perché non lo sia non ci è dato saperlo. “Elke non è un testimone”, ripete.
Ale