All’inaugurazione dell’ultima collettiva del Grimmuseum nello scantinato c’era questo artista tedesco che spiegava ai visitatori il perché e percome della sua bolla di sapone permanente o, come la chiama lui, “macchina per tenere in vita le bolle di sapone”. Mentre stavamo tutti lì attorno al piedistallo ad ammirare la sua creazione, si avvicina un tedescone alto e bello con un bambino di qualche mese legato al petto tramite una di quelle fasce di origine asiatica. Il neopapà va diritto dall’artista e gli dice: “E quindi alla fine sei riuscito a portare a termine l’impresa! Da quant’è che ci provavi con questa bolla?”. L’artista guarda l’amico marsupiale, poi guarda il bambino e gli risponde: “Sì, hai visto? Ma vogliamo parlare di cosa sei riuscito a portare a termine tu?”.
Durante una delle nostre ultime passeggiate io e MA, dopo una visita alla fiera di microeditori organizzata nella Markthalle 9 dove abbiamo sfogliato libri, assaggiato una torta crudista e comprato una spilletta a testa da questo tizio, rappresentante del peggiore autismo indie contemporaneo, usciti dal Bethanien e superato il wagenburg dove secondo G. negli anni ’90 ci sarebbe stata un’epidemia di colera, siamo rimasti abbagliati dall’arancione quasi fosforescente della chiesa di S. Tommaso di Mariannenplatz. Nella foto che ho scattato purtroppo non si nota la fosforescenza:
bisogna vederlo di persona questo arancione. Poco prima del tramonto e quando gli alberi attorno sono belli verdi. Nemmeno il berretto verde fluo del tizio che ci ha superati dietro l’abside è venuto bene in foto:
Leggo su Wikipedia che quando fu costruita era la chiesa più grande di Berlino. Gründerzeit come da manuale. Bombardata durante la Seconda guerra mondiale, negli anni ’80 è stata chiusa a lungo per rimozione amianto. Da lì, io e MA ci siamo diretti verso il Görlitzer Park, facendo una sosta a guardare le vetrine di b_books, la sorella kreuzbergherina di Pro qm che tra un Guattari e un Agamben espone questa serie di santini:
Visto che a noi hipster piace un sacco il giochino Riconosci l’Icona, da sinistra riconosciamo: Joe Dallesandro, i protagonisti de La Montagna dei Rottinculo©, Charlotte Gainsbourg, Yves Saint Laurent, ??? e… “Candy Darling? No, com’è che si chiamava questa?”. Edie Sedgwick. Colgo l’occasione per ringraziare MA che mi ha sorretto mentre scattavo la foto accucciato. Se qualcuno riconosce il ragazzotto (un calciatore?) tra YSL e la Factory girl, mi faccia un fischio.
Risollevatomi scricchiolante dallo scatto, mi sono fatto trascinare da MA fino al Görlitzer Park. È stato il mio parco di riferimento per i primi due anni di Berlino. Non ci mettevo piede da un sacco di tempo. Si conferma una splendida miniatura animata di Kreuzberg, popolata dai rappresentanti di ogni gruppo sociale che fa di questo quartiere uno dei posti più fichi del mondo. Ci siamo seduti sui gradoni della fontana di Pamukkale fallita (smantellata dopo essere rimasta bloccata per anni a metà dei lavori) e abbiamo chiacchierato una mezz’oretta osservando i nostri vicini in attesa di mangiare l’arrosto di maiale di Herr Lehmann. MA mi ha fatto notare delle ragazze afrotedesche che ballavano sulla collinetta alle mie spalle. Ho provato a fotografarle, ma erano troppo lontane.
In compenso sono riuscito a catturare una fetta di pancia dell’anglofono sdraiato tra noi e le ballerine.
Per una serie di fortuite coincidenze, la settimana successiva io, Lupo, M. e MA siamo finiti al party che celebrava la collaborazione tra Carsten Nicolai e COS, che non sta né per Church of Scientology, né per Church of Satan, né per Chicks on Speed bensì per Collection of Style, sottocatena gnè gnè di H&M. Abbiamo bevuto troppo e mangiato poco e siamo finiti a ballare davanti ai bagni.
Ecco, quello che è successo nei giorni seguenti è un po’ difficile da ricostruire. Ricordo una buonissima cena da Kartch, al quale rubererò la ricetta delle patate arrostite in padella, condividendola sotto licenza CC BY-NC, seguita da una visita al nuovo café che hanno aperto sotto casa mia. Il poster che ho visto in bagno (una verbosa lezione di “no means no”) meriterebbe un post a parte. E poi ricordo questo strano contenitore avvistato nella cucina dell’ufficio tra il dolcificante e le pastiglie per la pulizia della macchina da caffè:
dove CSCH sta per… Cosecante iperbolica? Non so, dev’essere un gioco di parole partorito dai nerd del reparto EDV, o IT, o come cacchio lo chiamano. Anche in questo caso, se qualcuno ha dei suggerimenti, si faccia vivo tramite commento.
Domenica scorsa, prima di incontrare MA alla Neue Nationalgalerie per la visita guidata di Panorama (retrospettiva che non si può chiamare tale per motivi scaramantici dedicata a Gerhard Richter), tutto intasato di muco allergico e sballato com’ero, ho preso la bicicletta e sono andato allo Spreepark ad assistere a questa messa in scena di una battaglia dell’assedio di Berlino del 1945.
Nazisti contro sovietici e polacchi. Si trattava di un’azione organizzata dalla Berlin Biennale in collaborazione con il Centro per l’arte contemporanea Castello Ujazdowsk, che verrà ripetuta a Varsavia il 13 maggio. Il tutto è durato una ventina di minuti, ma a me è bastato. Sarà che ero irritato dall’istamina e facilmente irritabile ulteriormente, ma l’ho trovata un’esperienza terribile: gli spari, le urla, i civili muoiono tutti. Alcuni spettatori vicino a me chiacchieravano amabilmente, altri sembravano annoiati.
Ero in seconda fila. Ho provato a girare un video, ma c’era troppa gente davanti a me. Ho deciso di passare alla modalità macchina fotografica. In foto lo spettatore viene meglio che in video.
Finita la battaglia, gli attori (quattro diversi gruppi di rievocazione storica) si sono raccolti per ricevere l’applauso e poi gli organizzatori hanno aperto le transenne e hanno permesso al pubblico di accedere al campo di battaglia per osservare da vicino uniformi, armi e veicoli originali.
Più tardi la guida della Neue Nationalgalerie, che si occupa anche delle visite guidate della Berlin Biennale, ci ha raccontato che non è stato facile far arrivare a Berlino certe armi sovietiche: se non ho capito male, c’è una legge che impedisce di importare in Germania armi funzionanti. Tra i reperti storici c’era anche un sidecar:
La signora che durante la battaglia mi ostruiva la visuale col suo cappello si è messa a chiacchierare con due nazisti:
Abbandonato il campo alle 14:50, mi sono diretto verso la Neue Nationalgalerie. Il viaggio in bicicletta mi ha aiutato a dimenticare gli spari. Sono arrivato al museo alle 15:45. MA mi aspettava all’entrata da qualche minuto. Gerhard Richter non mi è mai piaciuto, non l’ho mai capito. Mi è sempre sembrato un tecnico, un formalista. La visita guidata tenuta da B., una nostra conoscente, mi ha finalmente riconciliato con questo artista. Evidentemente avevo bisogno che qualcuno me lo spiegasse, fornendomi un paio di nozioni e qualche aneddoto. Poi sicuramente vedere tutte quelle opere raccolte in un unico luogo ha aiutato ad evitare l’effetto ‘mbè che possono avere certi suoi quadri osservati singolarmente. Visto che eravamo l’ultimo gruppo della giornata, la guida ci ha regalato una mezz’ora extra, mostrandoci il suo quadro preferito: il ritratto di Betty, figlia dell’artista, da bambina.
Confrontando il dipinto con l’immagine fotografica usata come modello, si capisce la forza della sua pittura: è dipingendo che Richter fa di quel ritratto della figlia un opera d’arte che ci parla di morte, amore e chi più ne ha più ne metta. La guida ha criticato l’accostamento con il quadro sottostante, ma a me non dispiaceva.
Per ringraziare B. di averci invitati a partecipare a questa sua visita guidata, le avevo portato degli zaletti fatti in casa. Ha molto gradito. Con queste due teglie di zaletti alla fine ho sfamato la guida, MA e, il giorno dopo, Lupo, M. e ben cinque colleghi e colleghe, tra cui l’olandese che parla un po’ di italiano, al quale un giorno proporrò un tandem nederlandese-italiano.
Cos’altro? Lunedì sono stato alla conferenza stampa per la presentazione delle Giornate Hirschfeld, organizzate dalla nuova Bundesstiftung Magnus Hirschfeld, dall’LSVD Berlin-Brandenburg e dall’archivio Spinnboden. La fondazione per ora è ospitata in un palazzo di Mitte dove ebbero sede la compagnia assicurativa Allianz, implicata a suo tempo in traffici nazisti, e, dopo la guerra, il direttivo della Società per l’amicizia tedesco-sovietica.
Per il Primo Maggio mi sono fatto trascinare da M. e Lupo alla Myfest. Nel bordello di gente che affollava questo angolo di Kreuzberg tra Spreewaldplatz e Oranienplatz, ho visto il mio commesso preferito. Era la prima volta che lo incontravo fuori dal supermercato dove lavora. Ci siamo salutati. Sono felice che l’abbiano visto anche M. e Lupo, così ora almeno ho la certezza che lui e il suo sorriso esistono davvero. Camminando per l’ormai tradizionale festa di strada del Primo Maggio, abbiamo individuato quelli che potrebbero diventare i nuovi trend dell’estate: brillantini di mezzo centimetro di diametro sullo zigomo per lei, terzo occhio in strass per lui. Sperando di non cadere nell’esotismo, vorrei infine segnalare il mio primo avvistamento di ebreo ortodosso a Berlino. Passeggiava con un amico in Skalitzer Straße. Già è difficile vedere in questa città persone che indossano pubblicamente la kippah; questo era addirittura vestito da ashkenazita d’antan (forse chassid?). Un po’ rivisitato in chiave hipster, in realtà. Indossava un completo nero, con le frange bianche del tallit che spuntavano da sotto la giacca, e un borsalino dello stesso colore. Avrà avuto una ventina d’anni, era magro, molto serio e aveva le payot lunghe e lisce, forse un po’ decolorate. Sul bavero della giacca esibiva una bandierina palestinese con un cuoricino al posto del triangolo rosso. Sarà stato un antisionista o semplicemente un simpatizzante della causa palestinese? Oppure quella bandierina serviva solo per uscire indenne da Kreuzberg, dove vivono diversi ragazzetti di origine araba che potrebbero essere maldisposti verso gli ebrei? Gideon Joffe qualche anno fa disse: Provate voi ad andare in giro con la kippah in certi quartieri! Sicuramente maldisposto verso di me, M. e Lupo era invece un hardcorer, forse americano, che allo Yellow Sunshine, dove abbiamo cenato, ci ha aggrediti verbalmente, non si è capito perché. Il sospetto è che non avesse gradito lo sguardo che tutti e tre abbiamo rivolto al ben proporzionato culo della sua ragazza. Non mi era mai successo prima a Berlino di causare una reazione simile in un maschio eterosessuale. Ma dove credeva di essere questo tizio? In un bar con biliardo dell’America più ormonale? In una discoteca italiana? O forse invece pensava di trovarsi in un’isola p.c. e straight edge priva di italiani che guardano la gente e fanno commenti.
Ale