Ieri mattina ho accompagnato il mio gentleman caller all’aeroporto, ho fatto colazione al Marché al pianterreno dopo averlo lasciato con un bacio un po’ ruvido di fronte al controllo di sicurezza e sono tornato a casa col magone. Lì ho trovato Lupo già sveglio e pronto per uscire: mentre ero in aeroporto, il mio operoso, quasi dodecennale compagno di appartamento aveva preparato un’insalata di riso, uova, formaggio, filetto di maiale affumicato e radicchi (il nostro pranzo in tupperware da gita in bicicletta in Brandeburgo) e aveva messo le mie lenzuola in lavatrice come l’avevo istruito di fare la sera prima – non volevo, la sera dopo, infilarmi in un letto che mi ricordasse questi trascorsi quattro giorni d’amore.
Ho preparato lo zaino (borraccia, diario, berretto di lana, mela, libro da leggere in treno che poi non leggo mai), Lupo ha preparato il suo (tupperware e forchette di plastica, borraccia, biscotti, cartina Deutsche Rad-Tourenkarte, giacca a vento che poi avrei usato io) e siamo usciti. Siamo andati in bicicletta fino alla fermata di Köllnische Heide e lì siamo saliti sulla S-Bahn per Königs Wusterhausen. Da KW abbiamo proseguito in bici per Zernsdorf e da lì, passando per Bindow e Dolgenbrodt, dove sono caduto mentre Lupo fotografava un uccello (forse un picchio), siamo scesi fino a Prieros, dove ci siamo riparati da un improvviso acquazzone con grandine sotto la tettoia di una casa del popolo (dopo aver passato in rassegna una macelleria chiusa, un Heimatmuseum con tetto di paglia e una chiesa neogotica). Mangiata la mia mela, ci siamo soffermati a osservare una casupola del 1920 che ospita una specie di museo dei vigili del fuoco – nella foto d’epoca esposta in una vetrinetta esterna abbiamo scoperto che in quegli anni il baffetto che sarebbe passato alla storia come “Hitlerbart” andava molto di moda – e siamo ripartiti. Nei boschi ai margini del Naturpark Dahme-Heideseen, ho finalmente cominciato a non parlare più dei giorni trascorsi col mio spasimante normanno: mi sono concentrato sugli alberi, i campi arati, il muschio e il sentiero cosparso di macinato di laterizi (tra cui alcune piastrelle luccicanti bianche, blu e verdi). Lupo mi ha parlato dei suoi progetti di lavoro e della sua morosa appenninica.
A un certo punto il mio co-blogger ha notato una fossa rettangolare scavata nel terreno muscoso del bosco, delimitata da tronchi sottili decorticati. Abbiamo lasciato le bici sul sentiero e ci siamo calati nella buca, sprofondando un po’ nella borraccina umida e morbida che ne ricopriva il fondo di sabbia gialla (ricordiamo ai lettori che ci seguono da poco che la terra sotto Berlino e tutto il Brandeburgo è sabbiosa). Dopo qualche chilometro, Lupo ha notato tra gli alberi una collinetta artificiale. Un’altra volta siamo scesi dalle bici, Lupo l’ha lasciata sul sentiero, io me la sono portata appresso superando diversi alberi abbattuti grattando le ruote sui tronchi e in questo modo ho bucato la ruota posteriore. Da lì la nostra gita è diventata una passeggiata con biciclette portate a mano.
Un paio di chilometri prima di raggiungere Klein Köris c’è stato uno scambio di SMS tra me e il mio amante: cosa stai facendo, come stai. La vegetazione che mi circondava ha un po’ attutito lo strazio di pensarlo solo a casa nella sua città lontana.
Un chilometro prima del centro abitato, lungo il sentiero abbiamo visto due bellissimi funghi ostrica e un po’ più avanti due alberi con la corteccia graffiata via da qualche animale. Due settimane fa ne avevamo visto uno vandalizzato allo stesso modo nel bosco di Königsheide, in città. Che animale è che può scorticare un albero in quel modo? Non può trattarsi di un cinghiale (l’abitante più tipico dei boschi berlinesi e brandeburghesi) visto che la corteccia era stata asportata fino a un metro e trenta da terra. Sul tronco denudato si distinguevano dei graffi e dei fori come di artigli.
A Klein Köris abbiamo consumato il nostro pranzo seduti sul lago, un vento freddo che non vi dico. Lupo mi ha fotografato seduto su una panchina in riva al lago con il tupperware appoggiato sulle gambe accavallate, una forchetta in mano, mezzo accartocciato su me stesso con un berretto e tre cappucci uno sopra l’altro (viola, verde, blu) di tre giacche indossate una sopra all’altra. Io l’ho fotografato in piedi su un molo, tupperware in una mano, forchetta nell’altra, con lo sguardo verso l’acqua, incorniciato da un canneto bruciato dal gelo invernale e una barca a remi attraccata in un angolo.
Lasciato alle nostre spalle il centro abitato, avviatici in direzione di Löpten, abbiamo seguito le indicazioni per una “Germanische Siedlung”, un villaggio germanico del II-V secolo d.C. Al cancello ci ha accolti un preadolescente con la voce rotta che ci ha dato il benvenuto nel sito archeologico che suo padre, insieme ad altri volontari, cura e tiene aperto per i visitatori. “Siete i primi e probabilmente gli ultimi”. Lupo l’ha visitato da solo, io con il padre del ragazzino, che mi ha fatto entrare in due capanne ricostruite filologicamente: in una, più piccola e in parte scavata nel terreno, le donne filavano; nell’altra (Langhaus) si tenevano le provviste, vi si cucinava e si dormiva con gli animali – al tempo nei boschi lì attorno vivevano lupi e orsi. Mi ha poi mostrato un pozzo, un orto storico e un’antica arnia ricavata dal tronco di un albero – sembra andassero ghiotti di idromele questi del villaggio. Mi ha infine spiegato il funzionamento dei forni di argilla, dove ogni tanto i volontari ancora cuociono il pane e arrostiscono le trote, e della macina per cereali: due pietre circolari; quella superiore, forata al centro per versarci i chicchi, veniva fatta ruotare di modo che si sfregasse contro quella inferiore sbriciolando i chicchi schiacciati tra le due pietre. La farina usciva dalla fessura tra i due dischi. Sembra che i teschi di ultratrentenni ritrovati nei pressi dell’accampamento presentino denti levigati dalla polvere di pietra contenuta nel pane di cui si nutrivano. In bacheca all’entrata c’era anche la foto di un teschio con una complicata acconciatura: una coda annodata sopra la tempia destra.
Salutati padre e figlio (i figli nel frattempo erano diventati due e correvano per l’orto), ho raggiunto Lupo, che era uscito da una decina di minuti dal villaggio e mi aspettava lungo la strada per Halbe. Dopo aver camminato per un’altra oretta nel bosco, siamo arrivati alla stazione di Halbe – questo paesino con un cimitero militare meta di pellegrinaggio di neonazi e relativi antifa che dissentono e cercano di rovinargli la festa – dove abbiamo preso il regionale per Berlino.
La gita in Brandeburgo era stata pensata per distrarmi dalla partenza del mio gentleman caller. A casa, il magone mi è tornato non appena ho rivisto il letto, le tazze, i dvd, il tavolino e il divano su cui appoggiava le sue cose. Le lenzuola lavate la mattina erano già quasi asciutte. Odoravano di detersivo. Ho annusato il pigiama che ancora sapeva di noi a letto e ho pianto tanto.
Oggi pomeriggio io e Lupo abbiamo comprato una nuova camera d’aria e un copertone Schwalbe “unplattbar” per la mia ruota posteriore. Abbiamo lavorato assieme un’oretta in cortile e ora ho una ruota che non si bucherà mai più.
Ale