Che meraviglia. Basta una visita all’ambasciata per confermare i miei pregiudizi nei confronti dell’italiano medio.
Volevo rinnovare il passaporto.
Carabiniere allo sportello di destra. Mi dà del tu, io gli do del lei, lui continua a darmi del tu. Avevo dimenticato quest’abitudine italiana. Qui in Germania o ci si dà del tu o del lei, e la cosa vale per entrambi i partecipanti al dialogo. In Italia se sembri avere meno di trent’anni sei un “tu”. Se anch’io fossi passato alla seconda persona singolare, come avrei fatto con un tedesco, non credo avrebbe gradito. Perché non l’ho fatto?
– Sei iscritto?
– A cosa, scusi?
– All’AIRE.
– No. Che cos’è l’AIRE?
– Eh, devi essere iscritto per rinnovare il passaporto.
– Sì, ma cos’è esattamente l’AIRE?
Sbuffa, guarda su un foglietto con alcune parole evidenziate in giallo.
– L’anagrafe.
– Ah, ok.
Compilo il modulo di richiesta di iscrizione, mi siedo. Aspetto. Mi chiama una tizia dallo sportello centrale.
Questa mi dà del lei. Sul vetro di separazione è appesa ad altezza volto una comunicazione ufficiale del consolato in A4. Io e la tizia ci abbassiamo e spostiamo di lato per poterci guardare in faccia. Mi chiede se lavoro regolarmente in Germania. “Sì, perché iscrivendosi all’AIRE decade la sua assistenza sanitaria italiana”.
Lo sapevo. L’AIRE già la conoscevo in realtà, con il carabiniere avevo fatto lo gnorri, in parte perché speravo mi desse qualche informazione che mi mancava, in parte perché volevo evitare una predica per non essermi ancora iscritto dopo quattro anni che vivo e due che lavoro regolarmente qui. La verità è che non ho mai avuto nessuna voglia di iscrivermi a questa merda di AIRE.
– E quanto costa il rinnovo del passaporto?
– Quattro euro (e qualcosa) per l’Europa e quaranta euro (e qualcosa) per tutto il resto.
Le chiedo se posso uscire un attimo a cercare un bancomat. Esco, cammino un po’ lungo il Tiergarten in direzione Potsdamer Platz, passando davanti all’ambasciata sudafricana e a quella indiana, e rifletto. Poi decido di chiamare Lupo, che mi consiglia la versione europea. Torno a cuor leggero all’ambasciata.
Chiedo al carabiniere di avvisare la sua collega che sono tornato. Mi siedo e aspetto. La tizia mi chiama allo sportello di sinistra per firmare l’avvenuta iscrizione all’AIRE. Le faccio notare un errore. “Come? Ah, sì, è vero.” Se ne va e torna con una copia corretta, che firmo.
Mi risiedo e aspetto.
Un signore mi chiama dallo sportello di sinistra. Mi avvicino e dico “Salve”.
Borbotta qualcosa senza guardarmi in faccia e mi allunga un foglio dalla fessura. Capisco solo “firma”. Guardo, firmo. Mi allunga il passaporto, borbotta ancora e fa un gesto con la mano destra come per allontanare una mosca. Sono allibito. Gli chiedo se posso viaggiare da subito. Borbotta, capisco solo “sì, sì”, e se ne va borbottando.
Mi allontano bestemmiando. Rimetto le mie cose nello zaino. Esco bestemmiando, pensando che razza di stronzi esistono. Mi rendo conto che alla fine non mi ha fatto pagare niente. Riapro lo zaino, guardo il passaporto: esteso fino a giugno 2010. Corro alla fermata dell’autobus.
Ma che problema aveva quello? Ce l’aveva con me perché mi iscrivevo all’AIRE solo adesso? Aveva scoperto qualche macchia sulla mia fedina penale? Gli stavo sul culo? Trattava tutti così? E perché cazzo non gli ho chiesto spiegazioni? O perché invece di andarmene imprecando non mi sono lamentato del suo comportamento? Tipico italiano, medio.
Ale