Mio padre mi ha accolto in aeroporto con uno spiazzante “Heil Hitler!”. Molto bene.
Il papà è sempre più alienato, ma sembra anche un po’ più sereno. La mamma invece è sempre più una bambina infelice e capricciosa, con dei momenti di grande egoismo. Entrambi sono preoccupantemente irragionevoli.
Questa volta la mia visita è durata ben due settimane. Ho giocato quasi ogni giorno con il nipotino (16 mesi) e pranzato tre volte con la nonna quasi novantenne. Accompagnandola un giorno dalla macchina al marciapiede e su per le scale fino al suo appartamento al secondo piano, mi è tornata in mente l’idea del caro Gerhard, che un annetto prima di morire mi aveva raccontato di voler fondare qui a Berlino un hausprojekt multigenerazionale: un condominio autogestito con appartamenti abitati da persone di tutte le età. La sua teoria era che frequentare esclusivamente coetanei fosse malsano, mentre interagire regolarmente con persone molto più giovani e molto più vecchie di noi facesse bene al nostro cervello: confrontarsi con i loro interessi, i loro ritmi e la loro visione del mondo ci allenerebbe a essere elastici e a mettere in discussione certe nostre certezze o abitudini sterili. Con mio nipote e con mia nonna i tempi e le parole erano completamente diversi rispetto a quelli che caratterizzano le mie solite frequentazioni qui a Berlino. Anche i miei movimenti mi sono sembrati inediti: protettivi in entrambi i casi, con la nonna lentissimi. Il nipotino poi ha una mente salterina che passa da una cosa all’altra nel giro di pochi secondi: ci ho messo un paio di giorni ad abituarmici.
Volete vedere un po’ di foto? Su, mettetevi comodi.
Come sempre, anche questa volta ho rovistato un po’ tra i ricordi di infanzia: ho ritrovato un vecchio libro della nonna…
… e, dentro un armadio, questo volantino storico che da bambino mi ha fatto tanto sognare. Quante volte l’ho osservato per ore (percepite) e mi sono chiesto: ma come faranno?
Meteorologicamente parlando, siam’ passati dalla pioggia alla nebbia alla pioggia. Ma è stato bello comunque.
Ho registrato un paio di corrispondenze che mi hanno reso felice:
E ho molto goduto delle colline ai piedi delle Vette Feltrine, lungo la strada da Cesiomaggiore per Toschian, Montagne, Arson, Lasen e Villabruna, e quelle tra Onigo, Monfumo e Cornuda (zona Colli Asolani).
A Segusino ho visto questo famoso presepio artistico “allestito in ambientazione locale veneta anni 20-40”. Guardate un po’ come si insegnava ai bambini a camminare una volta:
Tra parentesi, Seguisino è gemellata con Chipilo, cittadina messicana fondata nella seconda metà dell’Ottocento da segusinesi fuggiti a un’esondazione del Piave. Anzi, della Piave: son stati i fascisti (o proto-tali) a mascolinizzare il “fiume scaro alla patria”.
Tra gli highlight di questo soggiorno italiano, gli ‘mpanatigghi offerti dal mio ex preferito a noi ospiti della sua festa di compleanno (no foto), il corredo virginale che mi ha confezionato la mia zia preferita…
… certi scorci di Feltre vecchia…
… e l’escursione nella valle di San Lucano in compagnia e su iniziativa di un amico storico di Lupo e sua moglie. Qui delle carcasse scaricate da chissà chi sul greto del torrente Tegnas, all’inizio del sentiero che parte da Taibón:
Due scatti del bellissimo monte Agnèr (2872 m):
Qui la parete nord:
E infine un villaggio abbandonato, poco prima di arrivare a Col di Pra:
Sulla strada del ritorno ho deciso che voglio morire sparato da un bracconiere a Candaten, tra le braccia forti e compassionevoli di una guardia forestale.
Invece della seconda visita al Museo etnografico, rimandata alla mia prossima discesa a giugno, quando le rose saranno rifiorite, ho deciso di dare un’occhiata a questo misterioso Museo delle zoche e della tarsia. Mi ha molto colpito la “Gran carta corografica itineraria e statistica del regno lombardo-veneto”, parte di una mostra temporanea:
Della collezione permanente di scultura in legno vi vorrei invece mostrare queste due tavolette incise di Antonio Tamburlin dedicate all’incontro di Villa Gaggia. Sullo sfondo vedete dei mascheroni di Fidia Marchesini. E scusate la scara qualità delle mie foto.
La mia idea di comprare una ex casa cantoniera e trasformarla in centro sociale LGBTI* è stata profondamente scossa dalla visione di questo esemplare crollato:
Ho avuto un’altra fantasia di ritorno in Italia, ancora una volta legata a un progetto socio-imprenditoriale rivolto alla sparuta comunità homo/bi, trans* e intersex locale. Comunità che, grazie a Gayromeo e altri social media settoriali, se la cava benissimo anche senza di me.
Bene, direi che è ora di concludere.
Qui la vista sulle Alpi dall’aereo che mi ha riportato a Berlino:
Qui un estratto dal mio diario di viaggio: E anche questa volta capisco, come fosse la prima volta, che uno dei motivi per cui sono andato a vivere a 1000 km di distanza dai miei è di sfuggire all’ansia di mia madre. Non so come farei a vivere a meno di 100 km da lei senza uscire di testa o trasformarmi in lombrico […] Dio porco, infame e lurido, riuscirò mai a perdonarli? Voglio riuscirci, voglio farlo! È giusto e necessario per me e per loro. Sarebbe ingiusto continuare a rinfacciargli, più o meno silenziosamente, ogni cosa sbagliata, passata o presente, accusarli di essere la causa della mia infelicità. E sarebbe ingiusto e dolorosissimo se un giorno esplodessi e gli sputassi addosso qualche orrenda accusa, magari addirittura rivolta a quel che sono anziché a quel che hanno fatto e fanno.
Qui le stelle alpine in legno intagliato di Vito da Canal che ho comprato al Museo delle zoche:
Le ho infilate nel vaso in cucina dove tengo i cardi raccolti l’estate scorsa sul monte Subasio, durante la mia passeggiata verso l’eremo delle carceri di san Francesco.